Padre Sava, dal Monastero di Decani, ricordò così nel 2003 la giornata del 24 marzo 1999, che dette inizio alla guerra contro l’allora Jugoslavia: “La NATO lanciò massicci raids contro la Serbia senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e senza che venissero cercate tutte le possibili strade per una stabilizzazione pacifica della situazione da parte della comunità internazionale. Benché la NATO dichiarasse che gli attacchi aerei fossero diretti contro obiettivi militari Yugoslavi e contro il regime di Slobodan Milošević, migliaia di civili di tutte le etnie soffrirono e morirono e vennero definiti „danni collaterali“. “
Dopo 18 anni, il Kosovo è un posto invivibile dove prosperano solo traffici illegali, la discriminazione etnica continua ed oltre 250.000 abitanti della Provincia (soprattutto Serbi) non hanno potuto fare ritorno alle loro case nonostante la presenza della NATO, delle Nazioni Unite, e ora di Eulex, nonostante le promesse della comunità internazionale. Inoltre circa 2.000 serbi sono scomparsi e con ogni probabilità oltre 300 serbi sono stati espiantati degli organi finiti nel mercato internazionale degli organi e degli esseri umani, con la totale impunità e noncuranza della cosiddetta comunità internazionale.
Centinaia di Chiese Serbo-Ortodosse sono state ridotte in cenere sotto gli occhi delle truppe internazionali di KFOR oltre a centinaia di oggetti artistici, di quadri, di affreschi; i cimiteri serbi sono stati devastati.
Belgrado, 18 anni fa città-bersaglio per gli aerei Nato che, per settantotto giorni, hanno bombardato la Serbia, è ancora una città ferita.
Brucia l’agonia del Kosovo e Metohija, la morte lenta della comunità serba, decisa a restare nella terra del popolo serbo, il Kosovo e Metohija.
I palazzi sventrati di Belgrado anche oggi ci ricordano l’altra faccia della guerra, la zona oscura trascurata dai media, la testimonianza di un incubo, la visione allucinata del presente.
Marilina Rachel Veca